Andrea Marini intervista Giovanni Venturi: parte #1

(C) Dianne Hope at Morguefile

Ecco, ci siamo quasi. Oggi intervisto Giovanni Venturi, il creatore della saga familiare “Le parole confondono”, storia di un gruppo di amici che affrontano le difficoltà quotidiane da adolescenti e giovani uomini e donne che sono, crescono, attraversano percorsi difficili, si innamorano, sbagliano, mentono, litigano, tirano avanti, cercano la propria identità e abbandonano la nazione in cui sono nati per sognare un mondo migliore.

Tutti i libri di Giovanni Venturi sono qui: “I libri di Giovanni Venturi”.

Andrea: Giovanni, benvenuto nel mio famosissimo blog.
Giovanni: Non so quanto sia famoso il tuo blog, Andrea, ma a me fa molto piacere essere qui, anche se nessuno dovesse leggere questa intervista.

A.: In effetti, dopo tanto tempo che non ho scritto più articoli c’è questo rischio.
G.: Be’, non importa. Ciò che conta è che ci si diverta noi.

A.: Esatto. Prima domanda.
G.: Spara.

A.: Hai sempre pensato di scrivere una saga?
G.: In effetti no, e nemmeno una serie. Quando ho pubblicato nel 2012, tanto tanto tanto titubante, “Le parole confondono” (da cui ne deriva il nome della serie/saga) mi sono reso conto di aver creato dei personaggi su cui si poteva lavorare ancora tanto. Francesco Sacco, per esempio, aveva una storia davvero forte da raccontare. Ci ho pensato e ripensato e dopo aver pubblicato il primo volume, ho iniziato a scrivere “Certe incertezze”, che rappresentava il secondo volume.

A.: C’è un gioco di parole dietro questo secondo titolo?
G.: C’è un significato doppio sicuramente. La parola “certe” vuol dire sia “sicure” che “alcune”. Il titolo è perfetto perché rappresenta il fatto che Francesco Sacco vive in alcune e sicure incertezze che gli camminano sulla pelle ogni giorno, nonostante sia un personaggio che si mostra molto forte, inoltre gli piace fare battute, confondere le persone, prendersi anche gioco di loro, se serve, e non lasciar mai capire davvero cosa prova. Nasconde un grande dolore dietro la sua faccia da clown, come si definisce lui.

A.: Un personaggio dalle molte sfaccettature, insomma.
G.: Un personaggio unico e reale, umano perché ricco di contraddizioni e di insicurezze, di paure e di grandissima forza interiore. È stato facile e, al tempo stesso, difficile lavorare su di lui. Ha presentato una storia, dal suo punto di vista, molto diversa da quella raccontata da te in “Le parole confondono”. Francesco è del tutto diverso da Andrea Marini.

A.: In effetti, chi ha letto i primi quattro volumi della storia dice che è un bel personaggio, l’amico che tutti vorrebbero. Leale, disposto a donare la propria vita per i suoi amici.
G.: Sì, Francesco non ti lascia annoiare, è contraddittorio e profondo. C’è sempre qualcosa di lui che viene in mente di raccontare.

A.: È un personaggio su cui hai lavorato molto?
G.: Abbastanza, e nel tempo. In pratica anche nel settimo volume molte cose ruotano intorno a Francesco e sarà lui a far sciogliere alcuni nodi importanti della storia.

A.: Mi sento fortunato ad averlo come mio migliore amico.
G.: Direi di sì.

A.: Quindi, dicevamo, ti sei accorto di scrivere una serie dopo aver concluso il secondo volume.
G.: In realtà no, e non sapevo nemmeno se il secondo volume lo avrei pubblicato. Ha avuto una lunga gestazione. Rita Carla Francesca Monticelli mi ha consigliato di finire di scrivere il romanzo, di non abbandonarlo. “Certe incertezze” è una storia molto particolare, la tipica narrazione che espone me autore in prima persona, sai come sono i lettori, vogliono sapere da dove nascono certe idee. In realtà, con la scrittura ci si espone sempre, per ogni singola storia che si scrive e poi si pubblica.

A.: E da dove nascono certe idee?
G.: Dalla totale immaginazione, dagli eventi di cronaca. Alcuni personaggi si raccontano da soli, si creano il proprio carattere e la propria storia. Sta all’autore saper raccogliere le idee, incanalarle e mettere tutto nero su bianco.

A.: E non è facile? Scrivere, dico.
G.: Ah, no, per nulla. Devi controllare tante cose. Troppe. Puoi tenere a bada una cosa per volta. Adesso ti concentri sulla trama, ora sullo stile, sul ritmo, sull’ambientazione, poi sui dialoghi, su alcune ben precise scene e poi inizi a vedere le ripetizioni, le parole iniziano a ossessionarti, ciò che era perfetto una settimana fa va riscritto perché inadatto.

A.: Pensi che i libri che si scrivono oggi, e diventano best seller, verranno ricordati per i secoli a venire?
G.: Penso che alcuni si ricordino anche per un bel po’, sono bei libri, altri si possono dimenticare anche due giorni dopo la loro pubblicazione, nonostante ne facciano serie TV, un po’ come per il caso “Thirteen Reasons Why”. Un tema delicato come il suicidio trattato con una superficialità da brividi, nel libro; la serie TV è molto migliore del libro, di mille volte, ma anche da cancellare, soprattutto le stagioni successive alla prima, eppure ha avuto un gran successo. Questo dimostra che tutto è relativo anche se ai nostri occhi sembra chiaro che si tratta di materiale scadente.

A.: Se hanno pubblicato quello, non pensi si possa pubblicare qualsiasi cosa?
G.: L’ho sempre sostenuto, e la pubblicazione da parte delle case editrici di quei certi capolavori non fa che confermare questa mia idea. Se quel testo è stato stampato e pagine di carta sono state ricavate buttando giù alberi preziosi, allora tutto è permesso. E non solo per quel libro. Potrei farti una lunga lista, ma non serve. Alla fine la lettura è questione di gusto, inoltre, chi legge molto ha pretese più alte di chi non legge mai. E comunque ogni libro, e ogni autore, è diverso da un altro. Detto questo, ci sono autori bravi, penso a Stephen King con “Dolores Claiborne” o al suo “Stagioni Diverse”, “Cujo”, “Il gioco di Gerald”. Oppure a Renzo Bistolfi con “Lo strano caso di Maria Scartoccio”.

A.: Dicci di un libro che hai letto solo perché volevi carpire il segreto del diventare famoso.
G.: Non ti dico il titolo e nemmeno l’autore, ma anche questo, dopo averlo letto, pensi davvero che qualsiasi cosa può essere pubblicata senza problemi.

A.: E cosa ti ha colpito di questo libro?
G.: Non posso dirlo, magari c’è qualche signora per bene che legge questa intervista, qualche bambino.

A.: Tu pensi che qualcuno leggerà questa intervista sul mio blog?
G.: Pensi non succederà?

A.: Io lo spero per te, con tutto il cuore, sei una brava persona, e magari meriti almeno 1’000 nuovi lettori, però, fidati, questo articolo lo leggeranno zero persone, forse una arriverà a metà, se sei fortunato, quindi confessa pure, senza problemi, cosa ti ha sconvolto.
G.: Si lodava il sapore dello sperma maschile, lo si degustava come se si stesse mangiando, col cucchiaino, una buonissima crema al caramello.

A.: Cavolo! Altissimo livello, questa scrittura.
G.: Infatti, e ci sono tanti e tante a cui piace, molte recensioni entusiastiche. Per carità, ognuno è libero di leggere e amare ciò che vuole, ma quella scena mi ha lasciato perplesso. Io già pensavo di scrivere dello stesso genere e diventare multimilionario, ma ti dirò che non so se sono capace di scrivere di tanta qualità e purezza narrativa.

A.: Stai facendo dell’ironia?
G.: Un po’ sì, ma davvero mi piacerebbe scrivere con uno pseudonimo e mettere insieme la prima cosa che mi viene in mente senza manco correggere in maniera così ossessiva il testo, come faccio per la mia saga. Sarebbe liberatorio, meno stressante.

A.: È capace che ne vien fuori un best seller mondiale, eh. Inserisci qualche frustino, scene molto spinte tra donne, e molto dettagliate, e via! Si portano.
G.: Sì, infatti, il tempo di trovare uno pseudonimo decente e bruciare una promettente carriera.

A.: Mi dispiace interrompere sul più bello, ma tutte queste belle domande hanno preso il sopravvento e siamo andati per le lunghe. Continuiamo la settimana prossima?
G.: Certo. Alla settimana prossima a tutti.

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